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Euripide - Baccanti - Tragedia
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Euripide - Baccanti - Tragedia
Codice articolo: 5059
Autore: Euripide
Editore: Stampa Marchese Siracusa
Anno di stampa: 2002
Lingua: italiana
Prezzo: €6.00 
Number pezzis in packaging:1
Number pezzis in box:1

Cm 20 x cm 14, editoriale, pagg. 77

BACCANTI

« Anche se non lo vuole, questa città imparerà a conoscere i riti segreti di Bacco »

Dioniso, dio del vino, del teatro e del piacere fisico e mentale in genere, era nato dall'unione tra Zeus e Semele, donna mortale. Tuttavia le sorelle della donna ed il nipote Penteo (re di Tebe) per invidia sparsero la voce che Dioniso in realtà non era nato da Zeus, ma da una relazione tra Semele ed un uomo qualunque, e che la storia del rapporto con Zeus era solo uno stratagemma per mascherare la "scappatella". In sostanza, quindi, essi negavano la natura divina di Dioniso, considerandolo un comune mortale. Nel prologo della tragedia, Dioniso afferma di essere sceso tra gli uomini per convincere tutta Tebe di essere un dio e non un uomo. E per far questo, per prima cosa ha indotto un germe di follia in tutte le donne tebane, che sono dunque fuggite sul monte Citerone a celebrare riti in onore di Dioniso stesso (diventando quindi Baccanti, ossia donne che celebrano i riti di Bacco, altro nome di Dioniso). Questo fatto però non convince Penteo: egli rifiuta strenuamente di riconoscere un dio in Dioniso, e lo considera solo una sorta di demone che ha ideato una trappola per adescare le donne. Invano Cadmo (nonno di Penteo) e Tiresia (indovino cieco) tentano di dissuaderlo e di fargli accogliere Dioniso come un dio. Il re di Tebe fa allora arrestare lo stesso Dioniso (che si lascia catturare volutamente) per imprigionarlo. Il dio però scatena un terremoto che gli permette di liberarsi immediatamente. Nel frattempo dal monte Citerone giungono notizie inquietanti: le donne che compiono i riti sono in grado di far sgorgare vino, latte e miele dalla roccia, e in un momento di furore dionisiaco si sono avventate su una mandria di mucche, squartandole vive con forza sovrumana. Hanno poi invaso alcuni villaggi, devastando tutto, rapendo bambini e mettendo in fuga la popolazione. Dioniso, parlando con Penteo, riesce allora a convincerlo a mascherarsi da baccante per poter spiare di nascosto quelle donne. Lo induce a travestirsi da donna e ad andare con lui sul Citerone, ma, una volta giunti lì, il dio aizza le baccanti contro Penteo. Esse sradicano l'albero sul quale il re si era nascosto e fanno letteralmente a pezzi Penteo. Non solo, ma la prima ad avventarsi su di lui e a spezzargli un braccio è Agave, la madre stessa di Penteo. Questi fatti vengono narrati a Cadmo da un messaggero che è tornato a Tebe dopo aver assistito alla scena. Poco dopo arriva anche Agave, ed ha un bastone sulla cui sommità è attaccata la testa di Penteo, che lei, nel suo delirio di baccante, crede essere una testa di leone. Cadmo, sconvolto di fronte a quello spettacolo, riesce pian piano a far rinsavire Agave, che infine si accorge con orrore di ciò che ha fatto. A quel punto riappare Dioniso ex machina, che spiega di aver architettato questo piano per punire chi non credeva nella sua natura divina, e condanna Cadmo e Agave ad essere esiliati in terre lontane. Sull’immagine di Cadmo e Agave che, commossi, si dicono addio, si conclude la vicenda.

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